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Dieci anni dopo la firma dell’Accordo di Parigi, la COP30 Brazil si apre a Belém, nel cuore dell’Amazzonia, in un clima di crescente disillusione. La Conference of the Parties (COP), un tempo simbolo della cooperazione globale per affrontare la crisi climatica, si svolge oggi in un contesto di instabilità geopolitica e di un’opinione pubblica sempre più stanca di parlare di clima senza vedere soluzioni concrete.

Le emissioni di gas serra continuano ad aumentare, i conflitti e le crisi economiche si moltiplicano, la crescita dei movimenti anti-green rallenta l’attuazione del Green Deal dell’Unione Europea e l’attenzione per il clima arretra, compressa dalla polarizzazione politica.

In questo contesto, le COP non sono più percepite come il “luogo di svolta” che rappresentavano in passato. È per questo che la Conferenza sul clima 2025 viene definita la Conferenza della verità: un appuntamento che richiede chiarezza e responsabilità, perché il tempo per rimandare è finito.

 

Un decennio dopo l’Accordo di Parigi: dove siamo realmente?

Nel 2015, con l’Accordo di Parigi, 195 Paesi hanno concordato un obiettivo storico: mantenere l’aumento della temperatura globale “ben al di sotto dei 2°C”, puntando a limitarlo a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali.

Per raggiungere questo traguardo, l’accordo prevedeva quattro pilastri centrali:

  1. Riduzione progressiva delle emissioni tramite i Nationally Determined Contributions (NDC), da aggiornare ogni cinque anni.

  2. Decarbonizzazione globale nella seconda metà del secolo, con un equilibrio tra emissioni e assorbimenti.

  3. Trasparenza e reporting per monitorare i progressi dei Paesi.

  4. Finanza climatica, con l’impegno dei Paesi sviluppati a mobilitare almeno 100 miliardi di dollari l’anno per sostenere la transizione dei Paesi più vulnerabili.

A dieci anni di distanza, però, la distanza tra gli obiettivi e la realtà è evidente.

Secondo il nuovo Emissions Gap Report 2025 dell’UNEP, anche se tutti gli impegni nazionali (NDC) venissero rispettati, la traiettoria di riscaldamento globale sarebbe ancora di 2,3–2,5°C entro la fine del secolo. Ma con le politiche attuali, invece, l’aumento previsto è di circa 2,8°C.

Rispetto al 2015, alcuni progressi sono stati fatti, soprattutto grazie al boom della transizione energetica, alla crescita dell’uso dell'energia rinnovabile e ai progressi tecnologici. Nonostante questo, il mondo resta fuori traiettoria. Gli scienziati stimano che per rispettare gli obiettivi di Parigi servirebbero la riduzione delle emissioni del:

  • 35% entro il 2035 per restare sotto i 2°C
  • 55% entro il 2035 per restare sotto 1,5°C

Un ritmo che nessuna grande economia sta mantenendo, soprattutto dopo l’annuncio del ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi, un passo che indebolisce la governance climatica a livello globale e la credibilità degli impegni internazionali.

"Un superamento temporaneo di 1,5°C è ormai inevitabile", ha dichiarato António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite. "Ma non è un motivo per arrendersi: è un motivo per accelerare".

Aumento della temperatura media globale - Fonte: UNEP, Emissions Gap Report (2025)

 

Perché la COP30 è diversa dalle precedenti

Il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva ha aperto la COP30 in Brasile con parole chiare: “È tempo di affrontare la realtà”.

Ha definito questa edizione “la COP della verità”, chiedendo ai Paesi una roadmap globale per porre fine alla dipendenza dai combustibili fossili e triplicare la capacità di energia rinnovabile entro il 2030.

Belém, però, rappresenta molto più di un simbolo: è la prima COP organizzata in Amazzonia, in un territorio dove cambiamento climatico, governance debole e economie illegali si intrecciano quotidianamente.

L’Amazzonia: hotspot di biodiversità mondiale e centro di economie illegali

La scelta di Belém come sede della COP30 non è solo simbolica. L’Amazzonia è oggi uno degli ecosistemi più cruciali e più minacciati del pianeta. La regione non è soltanto un enorme hotspot di biodiversità, un regolatore essenziale per il ciclo dell’acqua e un pilastro della stabilità climatica. Ma, purtroppo, negli ultimi anni è diventata un’area sotto forte pressione da parte di economie illegali che mettono a rischio il capitale naturale, le comunità indigene e locali del territorio. 

Negli ultimi anni, l’Amazzonia ha visto una forte crescita di:

In altre parole, proteggere l’Amazzonia significa anche proteggere le condizioni di mercato e la sicurezza delle supply chain globali, soprattutto nei settori agroalimentare, energetico, minerario e logistico.

E questo rende la COP30 una conferenza inevitabilmente ancor più intrecciata con temi di legalità, governance e sviluppo economico sostenibile a lungo termine, non solo ambientale.

Plenaria generale dei leader, Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici COP 30. Foto: Antonio Scorza/COP30

 

Cosa rappresenta la COP30 in Brasile per la sostenibilità aziendale

Finita la COP, non conteranno solo i testi approvati nei negoziati. A fare la differenza saranno soprattutto le scelte, o le non-scelte, dei governi e delle imprese, chiamate nei prossimi anni a tradurre gli obiettivi climatici in azioni concrete.

Se dovessimo sintetizzare le priorità davvero realistiche per i prossimi anni, ne identifichiamo cinque:

  1. Decarbonizzare la strategia industriale: Ridurre consumi, elettrificare processi, rivedere filiere. Un obiettivo ambientale, ma anche un vantaggio competitivo ed economico.
  2. Investire in energia rinnovabile e infrastrutture resilienti: Aumentare la quota di energia rinnovabile, stipulare Power Purchase Agreement (PPA) ovvero contratti a lungo termine per l’acquisto di energia rinnovabile da un produttore, migliorare l’efficienza energetica e rendere la logistica meno dipendente da fonti fossili.
  3. Integrare la natura nel risk management aziendale: Adottare un approccio di doppia materialità, capire come eventi climatici ed ecosistemi influenzano l’azienda (outside-in) e, allo stesso tempo, come le attività aziendali impattano sul territorio, acqua e biodiversità (inside-out); e investire in progetti di rigenerazione ambientale.
  4. Rafforzare governance e trasparenza: Allinearsi a CSRD, target SBTi, standard ESRS, VSME e migliorare il reporting per investitori e stakeholder.
  5. Costruire cultura e competenze interne: Formazione continua, coinvolgimento delle persone e della supply chain per una transizione condivisa.

 

Dopo la COP30: il tempo delle scelte

La COP30 non sarà la conferenza delle soluzioni immediate, ma può essere un punto di chiarezza: capire dove siamo davvero, quali responsabilità abbiamo e quante opportunità sono già a disposizione di chi decide di muoversi.

In un mondo frammentato, il clima non può più essere affrontato come un appuntamento da spostare di anno in anno. Serve una visione a lungo periodo, continuità e la capacità di costruire percorsi stabili, al di là dei cambi ai vertici politici.

È qui che entrano in gioco le aziende. 

Indipendentemente dagli esiti negoziali, la COP30 manda un messaggio chiaro: la transizione non aspetta la politica. Ridurre le emissioni, investire in energia rinnovabile, rafforzare governance e trasparenza, costruire resilienza e proteggere la catena del valore non è più solo un esercizio di sostenibilità: è una leva di competitività, innovazione e credibilità.

La Conferenza di Belém ci ricorda che ogni decimo di grado °C evitato conta. Ogni scelta può generare rischio, oppure valore. Ed è qui che si apre lo spazio per le imprese: trasformare un contesto complesso in un’occasione per ripensare modelli più virtuosi, prodotti più sostenibili e relazioni con il territorio più d’ascolto condiviso.

Il tempo per rimandare è finito, ma il tempo per costruire, insieme, è ancora davanti a noi.

 

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ESG